MESSINA. È dedicata alla città dello Stretto una delle canzoni dell’ultimo album di Luciano Panama, il cantautore messinese che ad ottobre 2017 ha pubblicato il disco “Piramidi”, anche se il videoclip è su Youtube da fine dicembre 2019. Panama, infatti, ha deciso di ritornare sul suo “vecchio” album rock proprio per realizzare un video su Messina, che si apre con i monumenti iconici di Messina e si chiude con un traghetto. A spiegare perché questa scelta, e il perché di molti altri dettagli, è lo stesso Luciano nel corso di un’intervista.

 

 

Il video si apre con alcuni luoghi iconici di Messina, e si chiude con il traghetto. E’ una metafora, una scelta che racconta il destino di pressoché la totalità dei tuoi coetanei? (anche tua in parte?)

Sì, credo che racconti la storia di buona parte della nostra generazione, più o meno di tutto il sud Italia ma c’è qualcosa di positivo nel partire e vivere anche dei periodi lunghi fuori, l’importante è non dimenticarsi della propria città, spero non capiti anche a me. Messina ti spinge a partire, questo è un dato di fatto, lo dicono i numeri. Le generazioni precedenti alla nostra hanno appiattito tutto. La nostra città è muta e non riesce a esprimersi con credibilità, almeno in ambito culturale. Gli operatori del settore devono rivedere il loro lavoro. Spero che la nostra generazione sia capace di dare personalità a questo luogo.

Messina può essere anche come Berlino, Londra o New York, tutto questo dipende solo da chi la vive e la lavora con spirito evolutivo. Non si pensi neanche che chi vive fuori abbia la verità in tasca e torni a Messina a fare il sapiente. Un luogo ti aiuta a crescere ma la sostanza devi averla tu e la devi cercare dentro di te, non necessariamente in un luogo fisico.

Una città è anche un amplificatore – per usare un termine da musicista – e io per adesso collego la mia chitarra in un altro amplificatore che si chiama Milano, ma in testa ho tante cose.

 

A Messina hai dedicato il brano più “stridente” ma anche quello con strumenti non canonicamente rock dell’album. E’ un caso?

Nell’immaginario comune il rock è un genere musicale con degli strumenti precisi e nel caso di Messina guerra e amore il contrabbasso ed il violino effettivamente non rientrano in questi. Quando ho scritto il brano non avevo pensato al contrabbasso ed al violino – quest’ultimo suonato da Giovanni Alibrandi con grande maestria che, secondo me, ha dato davvero un tocco in più al pezzo con il suo sapore arabo-bizantino – poi la registrazione e la produzione hanno coinciso con un momento in cui stavo studiando delle parti di contrabbasso e, siccome non sono mai contento e sempre alla ricerca di nuove avventure, ho provato a registrare degli arrangiamenti che poi mi hanno convinto. Credo che questa esperienza mi abbia fatto fare un passo in avanti per quanto riguarda la concezione e la scrittura degli arrangiamenti di una canzone.

Per me il rock, comunque, non è un genere musicale, credo di aver capito che è un modo di affrontare la vita e di pensare a ciò che ho intorno quindi non utilizzo necessariamente degli strumenti standard, canonici, se non la mia attitudine e le mie mani. Poi i set con cui vesti le canzoni, secondo le situazioni, possono avere vari strumenti e dare un suono più duro come nel caso di una band rock, o più soffice come nel caso di strumenti più acustici e orchestrali, l’importante sono l’intensità e l’interpretazione con cui si suona un set, sono quelle che danno il senso alla scrittura e alla performance. Io non voglio essere l’attore di un genere musicale, è più un’attitudine e il senso di fare musica che voglio che mi contraddistingua: bisogna essere liberi di cambiare vesti quando si vuole, nulla deve tenerci chiusi in delle gabbie.

 

Nel video l’amore è evidente. La guerra meno. E’ lo stesso rapporto nella realtà?

Il mio modo di fare la guerra è proprio quello di parlare del mio amore, ad esempio leggere per le strade della mia città è uno di questi. Fare la guerra non significa solo manifestare in piazza o aggredire la gente, ognuno ha il suo modo ed il mio è, probabilmente, più elegante e poetico di quello dell’immaginario comune. Secondo me ha la stessa efficacia e spero che il tempo mi dia ragione. Il sogno di un cambiamento di un luogo non deve peggiorarti, non deve farti diventare quello che non sei. Messina guerra e amore è un brano pericoloso già di per sé: il testo il riff e il sound generale del contrabbasso a me sanno proprio di una musica da combattimento. Voglio che la mia città nei prossimi dieci anni cambi ed in modo serio questa volta diventi davvero un’altra. Io faccio delle “battaglie” a Messina da quando avevo vent’anni. Con la chitarra elettrica al posto del mitra ho portato il mio modo di pensare sin da allora in giro per queste strade e non solo, ho parlato spesso del perchè fare musica e del senso di fare delle canzoni, dei dischi, dei concerti. L’ultima cosa che ho organizzato insieme a “Youth Culture Network” è stata la “La Città Sommersa”, una rassegna di pensiero musica e arte alla quale la città ha risposto con una attenzione e partecipazione al di sopra delle nostre aspettative. Questo è il mio modo di fare delle piccole battaglie, attraverso le note le parole gli incontri e tanto altro che voglio sviluppare nel prossimo futuro.

 

Cosa ha artisticamente rappresentato e rappresenterà per te Messina?

Quando ho iniziato a scrivere non c’era nulla che mi attraeva, non c’era una band da cui poter prendere esempio, osservare, capire. Ricordo che i gruppi che suonavano in giro ed avevano per così dire “un pubblico” facevano principalmente delle cover e non demonizzo assolutamente chi decide di affrontare quel percorso, anzi stimo molti musicisti anche per quella capacità, ma credo sia davvero una cosa importante per una città avere delle band e degli scrittori di riferimento. Così Messina per molto tempo non ha avuto “un pubblico” interessato, attento, coraggioso, pronto ad affrontare anche progetti con altri obbiettivi.

Enter In Our Age o Entourage, la band che ho fondato nei primi anni del duemila, credo che nel suo piccolo abbia arricchito la città attraverso un percorso di scrittura che ci ha visto ad esempio vincitori nel 2004 del Jestrai Rock a Bergamo – città che in quegli anni era molto attenta al rock –  o nel 2006 di Arezzo Wave, all’epoca il migliore concorso in ambito rock in Italia. Ricordo ancora che Enrica Carnazza – l’antenna di Arezzo Wave per Messina – mi disse che l’anno successivo si iscrissero più di quindici band, mentre nei precedenti erano due o tre. Inoltre nel 2005 abbiamo inaugurato il Circolo 5/4 – oggi Retronouveau – portando il nostro modo e la nostra idea sul perché fare musica. Allora c’erano anche altre band, noi non eravamo gli unici, però penso che siamo stati molto incisivi in una Messina che si perdeva nel nulla. Credo anche che oggi esistano delle band che da noi hanno imparato sicuramente qualcosa e che Entourage è stato uno stimolo capace di trasmettere loro un’idea. Abbiamo contaminato la nostra città e continueremo a farlo.

 

Ci saranno altri video tratti dall’album?

Sono abbastanza imprevedibile: nonostante provi ad organizzarmi il lavoro con precisione, se una mattina mi sveglio con un’idea che mi convince cerco di progettarla e portarla a termine. Ho scritto un nuovo album e sono molto contento del risultato della mia scrittura e della strada che sto percorrendo. Mi sto concentrando su questo quindi non credo di tornare ancora su Piramidi, anche se secondo me ogni singolo brano dell’album meriterebbe un videoclip.

 

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