MESSINA. Riceviamo e pubblichiamo un contributo della ricercatrice Giuliana Sanò, antropologa del gruppo di ricerca “Cartografare”  del dipartimento Cospecs dell’università di Messina, sui recenti “blitz” anti prostituzione della Polizia municipale veicolati sui social dal sindaco Cateno De Luca.

Di seguito il contenuto della lettera:

Sale il numero delle “vittime” dei blitz coordinati dal sindaco De Luca e dalla squadra dei suoi collaboratori metropolitani. Ai già noti ambulanti, mendicanti e lavavetri si sono recentemente aggiunte anche le lavoratrici del mercato del sesso.

Trovo che facciano impressione le immagini e il linguaggio adoperati dal primo cittadino e, poi, anche dall’Assessora Dafne Musolino in seguito ai “blitz” condotti presso una casa chiusa di Piazza del Popolo lo scorso 13 settembre e, successivamente, in strada nei pressi della Casa del portuale il sabato appena trascorso.

Fanno impressione perché svelano una totale estraneità a un pensiero che sia anche soltanto lievemente complesso e caratterizzato da responsabilità istituzionale. A un pensiero, insomma, che non si risolva nello spazio di un like su Facebook e che rifletta sugli effetti di azioni politiche e comunicative come quelle messe periodicamente a segno dal sindaco e strombazzate come se si trattasse dell’arresto di Al Capone.

Venendo così a una veloce disamina dei simboli che le azioni sottintendono, il messaggio veicolato dalla foto-simbolo della prima incursione non può che essere uno, almeno per chi è in grado di mettere tra parentesi il moralismo e i sentimenti di indignazione causati dalla visione di pacchi di preservativi: e cioè che i lavoratori e le lavoratrici del mercato del sesso si proteggono e proteggono i propri clienti. Accostare un giudizio morale all’acquisto di preservativi è, per esempio, una delle ragioni per cui gli uomini, ma più spesso le donne, provano imbarazzo a comperare i contraccettivi presso le farmacie o i supermercati. Va da sé che il mancato acquisto di profilattici, generato da motivi che rientrano nell’ordine del giudizio morale, provoca una riduzione dell’uso degli stessi con tutte le conseguenze del caso: ossia Aids e malattie sessualmente trasmettibili.

Rimanendo nel solco tracciato da questo ragionamento, a dire il vero fin troppo banale, immaginiamo quali effetti produca pubblicare le foto di preservativi, esibendoli come una prova del reato. Sinteticamente, se i preservativi diventano la prova inoppugnabile dell’attività considerata “illecita”, il risultato di questa pubblicizzazione non può che esser la riduzione dell’uso di contracettivi e, di conseguenza, la diffusione e il contagio di malattie sessualmente trasmissibili. Un risultato, dunque, che non fa ben sperare. Soprattutto nella città che ha appena testimoniato il contagio volontario di un certo numero di donne da parte di un uomo che, evidentemente, di impiegare preservativi non ne ha mai voluto sentire.

Viene così da chiedersi se a Cateno De Luca capiti mai di ragionare in prospettive più ampie e responsabili che quelle “situazionali”, legate a un blitz o a eventi torbidi, che gli consentono di entrare immediatamente in comunione sentimentale con quel pubblico dai gusti grossolani che costituisce evidentemente la base dei suoi sostenitori. Rischiando, peraltro, di metterlo a rischio (quanti dei suoi sostenitori, infatti, vanno presumibilmente a puttane?).

Nel secondo blitz, quello avvenuto per strada lo scorso sabato, la logica sanzionatoria del sindaco è ancora più “virginea”: agisce infatti sulla visibilità di un gesto, quello sessuale, che in quanto tale necessita di una condanna morale. A differenza del primo caso, qui il sindaco, forse sollecitato dai commenti dei suoi followers, nomina per la prima volta i “clienti” e ammette, quindi, che se c’è un mercato e perché esiste una domanda.

Dall’operazione avvenuta nella notte del 20 settembre apprendiamo inoltre che le stesse misure sanzionatorie sono stati presi tanto nei confronti delle lavoratrici quanto dei clienti.

Certo vale poco di questi tempi e con certi interlocutori osservare che la legislazione che regola lo scambio sessuale – la cosiddetta legge Merlin – colpisce chi sfrutta la prostituzione e non chi la pratica o acquista servizi. E che il principio che anima la norma è legata a principi insieme laici e realistici che sottraggono la sessualità alla morale, essendo il sesso, incluso quello commerciale, una questione tra adulti consenzienti. E che a essere tutelata dovrebbe essere la persona sfruttata e non la morale, che è un oggetto continuamente mutante e fondamentalmente inesistente.

Ma del resto, andando indietro di qualche anno, scopriamo che l’approccio di Cateno De Luca e Dafne Musolino non è un unicum. Già nel 2008, durante l’amministrazione Buzzanca, sulla scorta del Pacchetto sicurezza del Ministro degli Interni Maroni, il sindaco di allora aveva emesso un’ordinanza che mirava a colpire i casi in cui venisse accertato l’esercizio “della domanda e/o l’offerta di prestazioni sessuali a pagamento, anche a bordo di veicoli, sulla pubblica strada e in tutte le adiacenze soggette a pubblico passaggio o facilmente accessibile sulla pubblica via, creando turbativa alla circolazione stradale mediante sosta o fermata, anche temporanea, del veicolo e il verificarsi di situazioni igienico-sanitarie pericolose per la salute pubblica”. Ma dell’ordinanza n. 207 del 9 Ottobre 2008 non vi sono però tracce e, anzi, risulta essere stata cancellata dalla Corte Costituzionale insieme a gran parte delle previsioni contenute nel Pacchetto sicurezza. Egualmente, non vi sono tracce di contrasto alla prostituzione nell’ordinanza firmata nel mese di luglio dal sindaco De Luca (quella contro l’accattonaggio, per essere chiari).

Alla luce di queste considerazioni, viene da pensare che lo sfondo reale in cui si sono svolte le due vicende abbia a che fare con il medesimo cinismo recentemente mostrato dalle istituzioni locali che, in nome della “legalità”, ma in palese violazione della legislazione europea sulla tutela delle privacy e della dignità delle persone, ha arrecato danni all’immagine degli individui filmati nei video-denuncia così come alle famiglie di queste.

Lo stesso cinismo, per intenderci, di chi valuta le operazioni anti-prostituzione partire dai guadagni ricavati dalle prestazioni sessuali e dagli incassi ottenuti dall’amministrazione mediante l’elevazione di multe.

Quelle sanzioni i cui risultati possono essere riassunti con formule quali “i proventi ammontano a” e “il comune incassa 40.000 euro”, al duplice fine di sgomberare il campo dalle umanità presenti in campo (rappresentate dai lavoratori e lavoratrici del sesso)  che in questo gioco scompaiono e vengono trasformate in asettiche cifre utili a rimpinguare le casse comunali, e di convincere i propri rancorosi e morbosi spettatori di aver agito in conformità a un’ordinanza che però non riporta nemmeno una volta la parola prostituzione, nemmeno quando si tratta di sfruttamento.

 

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
meno recente
più recente più votato
Inline Feedbacks
View all comments