La prima regola del poker è che bisogna essere pronti a portare il bluff fino alle estreme conseguenze, perché fermarsi a metà vorrebbe dire perdere inevitabilmente tutta la posta in gioco.
Qualcuno avrebbe dovuto ricordarlo giovedi sera, intorno alle 21, quando tra il sindaco Cateno De Luca, il presidente del consiglio Claudio Cardile ed i consiglieri presenti in aula, è iniziata una gara a chi mostrava più muscoli.
In discussione c’era un ordine del giorno, l’equivalente giuridico del nulla, sull’Agenzia per il Risanamento. Che è stato accolto, ma che non avrà (e non avrebbe avuto) alcuna conseguenza tangibile sull’iter imposto dall’amministrazione per la creazione dell’organismo che dovrebbe una volta per tutte sbaraccare Messina. Che già esiste, perché creato con legge regionale. Al Comune di Messina si chiede di approvarne lo statuto, il che è oggetto della delibera che si discuterà in aula oggi pomeriggio, martedi 4.
E quindi è una mano di poker quella che si è giocata in aula consiliare giovedi scorso. Con Cateno De Luca con in mano un poker servito, ed il consiglio a far credere di avere una scala reale rimediata in extremis. Che invece, purtroppo per loro, non aveva.
Perché la delibera sarà votata e l’agenzia costituita, non c’è il minimo ragionevole dubbio su questo: nessuno si assumerà la responsabilità di dire alla città, semplificando all’estremo, di non volere lo sbaraccamento. Distinguo, emendamenti, qualche voto contrario (studiato perché comunque l’atto passi), assenze tattiche, richieste di chiarimenti, perplessità in punta di diritto: stasera, in sede di discussione della delibera, ci sarà tutto questo. Ma la delibera passerà. Ed è il primo dei successi di Cateno De Luca. Non è una posizione che si può spiegare al pubblico quella di essersi opposti, non importa se l’agenzia sarà in grado di fare davvero quello per cui è nata oppure no. Al massimo si inserirà in un solco di fallimenti, ma peggio di come stato fatto negli ultimi trent’anni è impossibile fare. E questo è uno dei motivi per cui Cateno De Luca già ha vinto.
La conseguenza più ovvia è che anche i più belligeranti dei consiglieri, dei partiti e dei gruppi, si dovranno arrendere alla ineluttabilità del fatto che l’agenzia per il risanamento, in un modo o nell’altro, sarà il trionfo di De Luca, e che nell’immaginario sarà un trionfo ancora più marcato perché ottenuto contro un consiglio ostile, il giusto Davide contro il soverchiante Golia.
L’altra conseguenza è che De Luca è riuscito a portare un intero consiglio comunale sul suo campo di gioco, in cui è pressoché imbattibile. O, per conservare la metafora pokeristica, li ha costretti a rilanciare in una mano in cui è lui a dare le carte. Ed ha in mano un poker. L’opposizione, per fare il muso duro e fargli sudare la vittoria, si è praticamente condannata a fare da sparring partner. La delibera, nell’ottica di un confronto dialettico duro, da opposizione consiliare di vecchio stampo decisa a fagli sudare le sue vittorie, sarebbe dovuta passare liscia, all’unanimità, con tutti gli approfondimenti del caso ma con una parvenza di unitarietà, in maniera da poter fare pressione sin dal giorno successivo, far fretta all’amministrazione per rispettare le scadenze (assolutamente irreali) del 31 dicembre, ed eventualmente inchiodare de Luca alle sue responsabilità ma soprattutto alle sue promesse, che agli occhi di chi l’ha votato, ma anche di chi lo guarda con simpatia o soltanto con curiosità, dovrà comunque giustificare. E invece la melina su un ordine del giorno, un atto di assoluta irrilevanza.
Se c’è una cosa che a Cateno De Luca non appartiene, è l’essere sprovveduto. Anzi. Al contrario, il suo tratto distintivo è l’intraprendenza, spinta agli estremi confini fino a diventare quasi spregiudicatezza. Probabilmente, nel frangente dell’Agenzia, è quello che serviva: far apparire “melina” una discussione di appena due settimane su una delibera che teoricamente impegna un centinaio abbondante di milioni di euro, quando i consigli comunali degli anni scorsi hanno tenuto a bagnomaria delibere, tipo quella sulla “salvacolline”, per un anno e mezzo, riuscendo a non discuterla mai.
La ciliegina sulla torta è stata l’annuncio delle dimissioni, a seconda della versione assoggettate alla bocciatura della delibera, o per troppo fancazzismo del consiglio: ulteriore benzina sul fuoco di chi ormai De Luca lo venera, qualsiasi cosa dica o faccia, al punto che la narrazione è diventata soverchiante rispetto agli atti prodotti. E infatti, prima della fatidica seduta di oggi pomeriggio, piazza Municipio si riempirà di sostenitori del sindaco, che inevitabilmente un po’ di pressione ai consiglieri la metteranno.
Cateno De Luca si sta confermando politico con la “p” maiuscola: ha una specie di ansia da prestazione in base alla quale ogni cosa deve essere rivoltata come un calzino, rivoluzionata, rasa al suolo e ricostruita venti volte più grande: una furiosa e cieca cupio dissolvi secondo la quale non c’è nulla che possa essere salvato, solo demolito e sostituito con una sua creazione. Vedi le partecipate. Decisione e ritirata strategica, bastone e carota, fuga in avanti e mediazione, mosse a sensazione e clamore mediatico. E’ la terapia d’urto di cui Messina sente un gran bisogno, quella che si aspettava da Renato Accorinti, ma che Accorinti non è riuscito a dare, preferendo il lavoro oscuro, quello da mediano, alle luci della ribalta ed ai gol in rovesciata di De Luca. Che sia quello di cui ha bisogno, quella terapia d’urto, quello scontro continuo e costante, non è altrettanto sicuro. Non in questo momento storico. Per capire cosa ne sarà ci sono davanti cinque anni. Ne vedremo delle belle.