MESSINA. Alle regionali di novembre 2017 è stato il turno di Franco De Domenico. Alle politiche dello scorso marzo è toccato a Pietro Navarra. A giugno, alle amministrative, a rappresentare il Partito democratico ci sarà Antonio Saitta. Mentre Mario Bolognari è candidato sindaco a Taormina (città della quale è comunque stato sindaco molti anni fa addirittura col Pds). Quattro candidati, quattro espressioni del mondo accademico. L’operazione di totale identificazione del Pd con l’università di Messina si è compiuta.

Un percorso, iniziato col tesseramento di un anno fa, con l’adesione in massa nelle file dei democratici di un gran numero di nuovi iscritti il cui denominatore era la provenienza da piazza Pugliatti, che ha dato i suoi frutti: l’ex direttore generale a Palazzo dei Normanni, l’ex rettore a Montecitorio,  il suo ex prorettore a concorrere per Palazzo Zanca. E agli altri? Le briciole.

Spazzata via la vecchia classe dirigente, esclusa la nuova. Pietro Navarra, diventato nel giro di un anno il leader dei democratici, ha risollevato le percentuali di un partito in picchiata, riuscendo a contenere i danni che, numeri alla mano, senza il coinvolgimento suo e dell’università che si è portato dietro, sarebbero stati catastrofici. Nel farlo, però, ha cambiato volto al partito. Scomparsi i vecchi, quasi eterni notabili (Pippo Laccoto in primis), si è sbarrata  anche la strada alle “nuove leve”, quei quarantenni che il Pd aveva allevato negli anni, unico partito a Messina, nella speranza che potessero prendere le redini del partito smembrato dall’addio di Francantonio Genovese. E invece no.

Non si è voluto scommettere su Francesco Quero e Antonella Russo, nomi di punta di una nutrita schiera di possibili protagonisti del rinnovamento della classe dirigente democratica cittadina, preferendo di nuovo un candidato espressione del mondo universitario. In realtà, Antonio Saitta non è né “nuovo” né espressione solo del mondo accademico, avendo alle spalle una lunga storia politica, che inizia con un assessorato nella giunta di Franco Provvidenti, seconda metà anni ’90, continua a cavallo del nuovo millennio, ed è culminata una prima volta in una candidatura a sindaco (perdente) contro Giuseppe Buzzanca nel 2003, ed in una vicesindacatura con Francantonio Genovese nel 2005. Il suo è un curriculum lungo così, che culmina con la nomina a componente del consiglio di presidenza della Corte dei Conti nel 2017.

In molti, nel partito, dubitano però che possa essere efficace alle amministrative che già il Pd affronta con un notevole handicap in termini di preferenze e gradimento. Il suo nome è uscito fuori dall’assemblea del Pd senza che ci fosse unità d’intenti, è stato sottoposto agli alleati Gianpiero D’Alia e Beppe Picciolo, ha incassato il patto di non belligeranza da parte di Articolo 1, e rappresenterà il centrosinistra alle amministrative. Una decisione che non sarà senza conseguenze.

“Non abbiamo sottoscritto l’accordo di ieri pomeriggio, quindi non ci sentiamo vincolati a questa decisione“, ha commentato Alessandro Russo, uno dei “quarantenni” col mal di pancia, che ieri ha rassegnato le dimissioni da vicesegretario provinciale, rimettendo il mandato nelle mani del segretario Paolo Starvaggi.

Perché, all’interno del Pd, non c’è stata intesa attorno ad Antonio Saitta? La proposta alternativa, arrivata proprio dai “quarantenni”, era che se Francesco Palano Quero si fosse ritirato dalla corsa alla candidatura (appoggiando, al suo posto, Antonella Russo o Maria Flavia Timbro di Art.1), altrettanto avrebbe dovuto fare Saitta perchè non apparisse come una candidatura “imposta”. Proposta che, sostiene Russo, “non è stata nemmeno messa ai voti”. E ora? Ora si aprono una serie di scenari. Uno, il più probabile, potrebbe essere una replica del 2013, con gli stessi protagonisti che all’epoca si disinteressarono della candidatura di Felice Calabrò, favorendo così Renato Accorinti, che infatti poi stravinse al ballottaggio.

Questo comporterebbe una rottura insanabile, e la fuoriuscita (o la cacciata) dal partito di un buon numero di nuove leve. Che già, da par loro, hanno abbandonato il Pd: è delle settimane scorse la “morìa” all’interno dei Giovani Democratici. Un’emorragia che favorirebbe ancora di più l’attuale gruppo che esercita la leadership. E praticamente, senza più antagonisti interni, il Partito democratico si trasformerebbe davvero, e definitivamente, nel partito dell’università.

 

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