MESSINA. L’exploit, tanto inatteso quanto benvenuto, di Franco De Domenico alle regionali di novembre 2017, aveva fatto ben sperare. Oltre undicimila voti, primo degli “umani” dietro Luigi Genovese, l’ex direttore generale dell’Università di Messina era riuscito a risollevare il morale di un partito che dall’addio di Francantonio Genovese non era riuscito a ritrovare i numeri, e dai lunghi anni di commissariamento ne aveva tratto solo nocumento.

E invece, il risultato di De Domenico è stato probabilmente il più grave degli errori dei democratici messinesi. Perchè ne ha coperto le falle, che inevitabilmente si sono palesate nel disastroso risultato di ieri, dove un pur volenteroso e sulla carta forte Pietro Navarra non è riuscito a tamponare l’emorragia di voti che un po’ in tutta Italia sta dissanguando il Partito Democratico: due milioni di voti in meno rispetto a cinque anni fa, e a livello locale lo scenario è ancora peggiore

Perchè che Navarra probabilmente riuscirà ad entrare lo stesso a Montecitorio per via della seconda posizione nel listino bloccato del proporzionale dietro Maria Elena Boschi (che dovrebbe optare per un altro collegio dopo aver sbaragliato Bolzano con oltre il 60%) non è che un raggio di sole in un cielo pieno di nuvole nere, benchè l’ex rettore sia una pedina strategica nelle strategie nazionali.

C’è un partito da rifondare ed elettori da convincere, e sarebbe ingiusto dire che i democratici non ci hanno provato: l’agenda di Navarra (e di Fabio D’Amore, e di Beppe Picciolo, entrambi dei Dr e per l’occasione gemellati col Pd, il secondo con una dote di diecimila voti alle regionali) è stata fitta di impegni per un mese intero, alla ricerca di quel contatto con gli elettori che il commissariamento estenuante di Ernesto Carbone e la successiva segreteria provinciale di Paolo Starvaggi non sono riusciti ad assicurare.

Il risultato, oggettivamente molto al di sotto delle aspettative, è preoccupante sotto molti aspetti, il primo dei quali è che non è bastata la “discesa in campo” dei big di partito per convincer un elettorato sperduto: quando nel giro di una settimana il partito ti schiera l’ex premier Paolo Gentiloni, un sottosegretario plenipotenziario come Maria Elena Boschi ed il numero uno Matteo Renzi, e nonostante questo la sconfitta è così schiacciante, vuol dire che il problema è strutturale.

Perchè non è bastata nemmeno la campagna acquisti con sfondamento al centro, con l’arrivo nel Pd degli ex Udc Bruno Cilento e Libero Gioveni (più due consiglieri di quartiere di peso come Alessandro Cacciotto e Maurizio Di Gregorio). Ma non c’è nemmeno stata la perdita a sinistra determinata dalla presenza di Liberi e uguali: è proprio che si sono volatilizzati una decina di migliaia di elettori, persi pre strada negli anni.

“Si deve costruire dalle macerie”, si legge sui post, gli status ed i tweet dei militanti messinesi. Il problema è che non si è capito cosa si deve costruire. E chi deve farlo. Nel frattempo, le amministrative stanno arrivando. E per una intera classe dirigente, quella dei “renziani della prima ora”, ma anche per chi aspira a prendere le redini del partito, come il “blocco accademico” di cui De Domenico e Navarra sono i centravanti, è davvero l’ultima spiaggia.

 

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