Il nodo non è mai stata l’isola pedonale sì o isola pedonale no, o isola in via dei Mille o in viale san Martino. Non è mai stato tra amministrazione contro consiglio o centrodestra contro centrosinistra. Il nodo è una città che non decide, perché chi la rappresenta è incapace di farlo e ha lasciato il posto alle bandierine da piantare. Il nodo è chi ha vinto e chi ha perso.

È stato un costernato assessore alla Mobilità Gaetano Cacciola, per distacco il miglior assessore degli ultimi vent’anni, a chiedere scusa alla città per l’avvilente spettacolo offerto in sei sedute, ritirando una delibera che si era impaludata in discussioni da vergognarsi e non uscire più di casa per decenni. Cacciola ha perso. L’amministrazione, che su questa delibera ci contava dall’inizio dell’avventura, ha perso. La città ha perso: sia quella che voleva via dei Mille che quella che ne preferiva un’altra.

“Era una proposta che divideva”, si è sentito da parte di qualche commentatore paraculo. Perché se è una proposta che divide, la si sottopone alla discussione, senza sotterrarla di emendamenti che tutto hanno fatto tranne che farla discutere. La si vota, e si lascia che la volontà popolare incarnata dai consiglieri eletti si prenda la responsabilità di approvarla o bocciarla. Questo quando si ha il coraggio delle proprie azioni e la forza delle argomentazioni. Altrimenti ci si fa scudo dei tecnicismi. E qui non c’entra la scarsezza dell’amministrazione.

Senza farla troppo sofisticata, che sofisticata non è, anzi è di un pezzalculismo da suscitare ribrezzo: la proposta dell’amministrazione non piace? Si boccia e ne si propone un’altra alternativa. E invece no. La vittoria è stato non far discutere l’aula, bloccare i lavori, procedere ostinatamente verso il nulla. Un nichilismo fine a se stesso che come risultato non può che avere il nulla.

La vittoria di chi non voleva questa isola pedonale ha due padri: Pippo Trischitta e Nicola Cucinotta. Ha vinto Trischitta, che ha sotterrato la discussione sotto il peso di 870 inutili emendamenti e sub emendamenti, che hanno indotto l’amministrazione a ritirare la delibera: Pippo Trischitta, spalleggiato dai cinque o sei commercianti che hanno seguito trepidanti, dal loggione dell’aula, tutte le sedute, e che l’isola in via dei Mille non la volevano. Ma cosa ha vinto, in realtà, Pippo Trischitta?  Nulla. La sua proposta di pedonalizzare il viale, che presenta alla stampa ogni due anni da dieci anni, sulla carta era e sulla carta è rimasta: Pirro in confronto ha ottenuto affermazioni ben più significative. Il suo comportamento, a volerne trovare una spiegazione plausibile, una ratio di fondo ce l’avrebbe pure. Essendo fermamente convinto di diventare il prossimo sindaco di Messina, Trischitta ha calcolato che tra sei mesi potrebbe essere lui a proporre la “sua” isola, accreditandosene i meriti invece che lasciarli all’attuale amministrazione nel caso in cui avesse presentato una delibera e questa fosse stata votata favorevolmente dall’aula. Scenario inverosimile, ma ha una sua logica.

Ma Nicola Cucinotta? A parte l’atavica avversione all’isola pedonale di via dei Mille, nella quale si era a suo tempo dichiarato orgoglioso di poterla percorrere in quad dopo la prima riapertura, ad ottobre del 2014, quale è la motivazione che lo ha spinto a bloccare i lavori con stratagemmi d’aula? La preferenza per il viale san Martino? E in cosa si è sostanziata questa preferenza, oltre che in ostruzionismi e dichiarazioni roboanti? In nulla, per l’appunto.

(Su Cucinotta ci sarebbe poi da segnalare i numeri sparati a casaccio durante queste sedute, incurante del fatto che, quando si cita un fantomatico sondaggio su Facebook che secondo lui vedeva favorevole il 95% delle persone per un’isola pedonale in viale san Martino, è un attimo che la gente cerchi e scopra che invece non solo il sondaggio di viale san Martino non ne parlava, ma registrava un 65% di favorevoli alla via dei Mille. È l’internet, bellezza).

A Trischitta e Cucinotta va dato se non altro il merito di averci messo la faccia, se proprio si vuole scavare e trovare un merito. Altri, una decina almeno di consiglieri, hanno giocato, come ormai malcostume diffuso da cinque anni, a buttare la pietra e mmucciare la mano. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Disfare ma cercare accordi sottobanco. Attaccare ma poi cercare l’accomodamento in separata sede. Una costante di questi cinque sventuratissimi anni, in cui, infatti, il numero delle delibere approvate è stato bassissimo, e quello di delibere proposte dai consiglieri spaventosamente vicino allo zero assoluto. Come quantità e soprattutto come qualità.

In questo mese e mezzo di discussioni, si è assistito ad attacchi di pura soverchieria, difese corporative, progetti ambiziosi che Las Vegas in confronto è San Licandro alto alle undici e mezza di sera: mai che ne sia stato proposto seriamente uno, di questi programmi fantascientifici, e ci si sia confrontati documenti alla mano. Mai ora, sempre “dopo”. Sia mai che la fatica di predisporre una delibera avesse stroncato il proponente.

Poi c’è il concetto di partecipazione, il più grande fraintendimento di questi cinque anni, tirato in ballo, quasi sempre a sproposito durante le discussioni. Partecipazione non vuol dire “ognuno dica la propria e si offenda se la proposta non è recepita”. Non è così che si decide. Gli atti amministrativi impongono passaggi ben precisi, la giunta propone, il consiglio dispone, stop. Se quello che la giunta propone non è di gradimento del consiglio, il consiglio boccia e va avanti, proponendo un’alternativa, visto che ogni consigliere ha ampia facoltà legislativa e potestà assoluta di proporre qualunque delibera egli desideri.

E invece no. Interrogazioni, interventi in aula pieni di sdegno e indignazione un tanto al kg, ottimi propositi, bellissimi progetti, suggestivi rendering: tutti rimasti sulla carta e mai formalizzati in un documento amministrativo, in una proposta di delibera da sottoporre all’aula.

Secondo alcuni, la delibera, così com’è, sarà riproposta da qualcuno dei consiglieri, forse del Pd. Non lo fate. Per favore, non ci provate nemmeno. Consegnate all’oblio questa disastrosa esperienza consiliare, che come effetto collaterale ha avuto quello di incattivire ancora di più una città già esasperata di suo. Della quale, tranne qualche lodevole ma sparuta eccezione che purtroppo naufragherà tirata giù dalla sconcertante pochezza del resto dei colleghi, questo consiglio non è che l’espressione più pura. Lo specchio. E gli specchi non mentono mai.

 

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andrea
andrea
9 Febbraio 2018 23:15

per leggere questi articoli sono contento che sia nato Letteraemme