MESSINA. Meno di un mese di gloria, e undici di oblio: è il destino della Vara e dei Giganti, simboli della città di Messina che ad agosto vengono allestiti, esposti ed ammirati, per ppi finire smontati e risposti in depositi nascosti alla vista dei messinesi.
Perché eclissare per undici mesi la Vara ed i Giganti, dopo averli messi “in naftalina” alla fine di agosto? Perché non farci un museo? Un progetto in realtà esiste, ed è stato concepito per la prima volta nel 1995. Eppure, ventinove anni dopo, la macchina votiva ed i simulacri dei fondatori di Messina sono custoditi in dei depositi fatiscenti in via Catania, nei pressi del cimitero monumentale. Il loro destino, tuttavia, poteva essere un altro.
Ovvero un museo dedicato alle “machine votive”, rigorosamente con una “c” sola, come da termine filologico rinascimentale, che sarebbe dovuto sorgere tra la via XXIV maggio e la via Santa Pelagia, esattamente dietro il Monte di Pietà. Il progetto? Di un architetto del Comune, assunto nel 1993: Nino Principato.
Nonostante il progetto fosse stato inserito nei Prusst (programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio), non si è mai riusciti a farlo partire. Perché, nel frattempo, non è più possibile utilizzare la collocazione originaria: al Monte di Pietà sfuma la convenzione per concedere in comodato d’uso l’area per fare il museo. Tutto da rifare.
Cosa prevedeva il progetto? Una struttura permanente, visitabile tutto l’anno, basata sulla “ricostruzione” della chiesa chiamata “Nostra donna della pietà”: la partizione interna era infatti stata progettata pensando alle cinque navate della chiesa, della quale oggi è rimasta solo la facciata. L’edificio avrebbe avuto due piani fuori terra più un terrazzo ed una cupola, e sarebbe stata recuperata la galleria che porta al castello di Rocca Guelfonia, dove c’erano le carceri alle quali i condannati a morte venivano condotti attraverso il tunnel del ‘500, ancora oggi esistente. Il totale dei costi stimati sarebbe stato di 5 milioni e 800mila euro, e avrebbe ospitato un salone con mostre temporanee a tema sulle machine festive del mondo, un’area amministrativa, un’emeroteca, un auditorium e una gipsoteca. Oltre ovviamente a Vara e Giganti, ma anche il Cammello, il Pagghiaru, le Barette e il Vascelluzzo.
Che oggi sono sparpagliati per la città: Mata e Grifone in depositi fatiscenti in via Catania, il ceppo della Vara pure. Nel 2015 è stato inaugurato a Palazzo Zanca un piccolo “Museo della Vara e dei Giganti”, con foto e riproduzioni in miniatura: chiuso praticamente all’indomani dell’inaugurazione.