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MESSINA. Non è una novità, ma sembra che ogni volta che nel mondo dei rifiuti si sia messo un puntello, dall’altro lato qualcosa frana. La chiusura del capitolo Messinambiente e l’apertura di quello MessinaServizi Bene Comune, infatti, si sta rivelando un percorso di guerra, disseminato di ostacoli: già la lunghissima gestazione della nuova società era stata un campanello d’allarme, e oggi tutto quello che sembrava scontato d’improvviso non lo è più.

Il primo punto nevralgico riguarda il transito di 560 dipendenti Ato3 e Messinambiente sotto l’ala della MessinaServizi. Sembrava un passaggio automatico, da una settimana ci si è resi conto che non è così:  il passaggio dei lavoratori sembrava dover avvenire tramite l’articolo 6 del Contratto Nazionale del Lavoro (Avvicendamento di imprese nella gestione dell’appalto/affidamento di servizi), secondo il quale “L’impresa subentrante assume “ex novo”, senza effettuazione del periodo di prova, tutto il personale in forza a tempo indeterminato “. Senonchè, essendo in Sicilia, le cose semplici non ci piacciono, e abbiamo trovato modo di complicarci la vita con la legge regionale 9 del 2010 che ha istituito l’inutile sistema delle SRR. Per cui, prima che alla MessinaServizi, i lavoratori Ato3 e Messinambiente dovrebbero transitare nel calderone della società regionale. E’ la linea che è emersa durante gli incontro tra vertici aziendali, comune di Messina e sindacati all’ufficio provinciale del Lavoro. I dipendenti delle due società, dopo il passaggio intermedio (che allungherà i tempi di entrata in funzione della nuova società), per contratto di servizio  tra MessinaServizi e Comune godranno di incentivi salariali per il raggiungimento di risultati, ma dovranno rinunciare parzialmente a benefit accumulati e “superminimi”.

E Messinambiente? Fallirà, probabilmente. Il 15 settembre è fissata l’udienza collegiale per la “dichiarazione di inammissibilità della proposta concordataria e per la conseguente ed eventuale dichiarazione di fallimento di Messinambiente”. La partecipata di via Dogali è gravata da un’istanza di fallimento chiesta dall’Agenzia delle Entrate per un debito da una trentina di milioni, per evitare la quale ha proposto un concordato da trenta milioni in cinque anni, sei milioni all’anno: al fisco andrebbero i quindici milioni, sui quali le parti hanno raggiunto un accordo transattivo, che dovrebbero estinguere il debito con l’Agenzia delle entrate, il resto sarà diviso in partite da cinque milioni ciascuno per il Tfr dei dipendenti, per i debiti previdenziali con l’Inpdap e per altri debiti, soprattutto coi fornitori.

Il pubblico ministero, però, ha chiesto al giudice delegato Giuseppe Minutoli ed ai giudici del collegio Antonio Orifici e Daniele Carlo Madia, che la proposta venga dichiarata inammissibile. Perchè? 

“Il tribunale – si legge nel decreto di fissazione dell’udienza – non può non evidenziare che tutta l’architettura concordataria si fonda e si regge su un ingente impegno finanziario da parte di un ente pubblico territoriale, il Comune di Messina, terzo rispetto alla società proponente, ed allo stato tutto ipotetico, posto che solo la Giunta comunale ha deliberato il 29 giugno 2017 in merito al bilancio di previsione finanziario 2017-19, a debiti fuori bilancio ed al contributo da trenta milioni di euro per il concordato in esame, mentre la decisione finale compete al consiglio comunale, le cui decisioni – sostiene Minutoli – non possono ipotecarsi da parte di chicchessia, nè tantomeno da Messinambiente”.

“Pertanto la tempistica prospettata dalla società proponente appare del tutto aleatoria”, conclude laconicamente il giudice. Il piano, secondo il collegio, si regge su presupposti che sfuggono “al potere di controllo di Messinambiente”.

 

 

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