MESSINA. Se è vero che le parole sono pietre, lo è altrettanto che le pietre possono raccontare più di mille parole. Come nel caso della storia dell’edilizia messinese dall’epoca greca al Novecento, gran parte della quale affonda le sue radici a Villafranca Tirrena, dietro i cancelli di quello che fu lo stabilimento dell’Italcementi. Lì, nella vasta area di Contrada Nunziatella, si trovano le cave, non più utilizzate, della cosiddetta “Pietra di Bauso”, protagonista, insieme al calcare a coralli pliocenici, dell’architettura della Messina che fu.
LE PIETRE DI MESSINA. Già segnalata nelle “Pietre delle Città d’Italia” di Rodolico (1946), la “Pietra di Bauso” è un calcare siliceo con un colore dal rosa carico all’avorio il cui primo utilizzo accertato, insieme al calcare del Pliocene (che, giallastro e rosato, si estraeva a San Jachiddu e in una cava tra Gravitelli e San Corrado, esaurita negli anni Cinquanta), si trova in una sepoltura del IV secolo avanti Cristo custodita nel Museo regionale di Messina. A essere utilizzata, anche una varietà di roccia pliocenica, chiamata bucalocigna, dal colore biancastro e grana grossolana. Le altre pietre determinanti per le costruzioni di Messina venivano da formazioni evaporitiche del Miocene superiore (affioranti sul versante tirrenico della costa, tra Gesso e Bauso), la pietra di Siracusa, i calcari grigi e rossi di Taormina, i basalti dell’Etna e le pomici di Lipari (per le volte).
25 SECOLI DI STORIA. Oltre alla citata sepoltura, i materiali villafranchesi furono utilizzati per la Badiazza, la torre della Rocca Guelfonia, le absidi della chiesa di San Francesco all’Immacolata, la Lanterna del Montorsoli, il Castello di Spadafora, il Castello di Bauso, le mura cinquecentesche di Carlo V, il Forte San Salvatore, la Cittadella, le due Palazzate scomparse, Palazzo Calapaj d’Alcontres. Una storia che termina nei primi anni Trenta del Novecento, quando Francesco Valenti decide di impiegarli per i rivestimenti del campanile e della parte superiore della facciata del Duomo.
CASI PARTICOLARI. La chiesa gotica di Santa Maria Alemanna, invece, fa caso a sé, visto che fu realizzata utilizzando il gesso selenitico come pietra da taglio. Un mix di pietre locali è rappresentato poi dal pavimento di San Francesco all’Immacolata, che vede protagonisti il marmo rosso di Taormina e la “Pietra “Nigra”, un’anfibolite plagioclasica di colore verde scuro cavata nei peloritani (stesso accoppiamento si ritrova nella facciata del Duomo). A San Giovanni di Malta, nel prospetto della tribuna, convivono il calcare pliocenico, la pietra di Siracusa e i mattoni, mentre, per quanto riguarda il Monte di Pietà, la pietra di Siracusa domina la parte settecentesca e quella del tardo Cinquecento è costruita con pietra bucalocigna, pietra di Bauso, pietra di Siracusa e grigio di Taormina (usato nel portale, nelle Quattro Fontane e nella chiesa di Sant’Elia).
UNA PROPOSTA CADUTA NEL NULLA. Durante un convegno del dicembre 2006, Maurizio Triscari, già associato di “Georisorse Minerarie ed Applicazioni Mineralogico-Petrografiche per l’Ambiente ed i Beni Culturali” presso il Dipartimento di Scienze della Terra della facoltà di Scienze di Messina, parlando de “La cava di Villafranca Tirrena: un ricordo una scommessa”, propose la creazione di un “Parco culturale della Pietra di Bauso, dell’Argilla e dei Materiali da costruzione”: “Il ‘calcare di base’, ovvero la pietra di Bauso ed i calcari a coralli pliocenici affioranti presso Villafranca Tirrenica, segnano un “continuum” evolutivo del “costruito” per la città di Messina che ininterrottamente li utilizza per circa 25 secoli, dal IV avanti Cristo al XX secolo. La storia di Messina – diceva Triscari – dolorosamente sconvolta dai grandi sismi del 1783 e del 1908, è anche la storia di quelle costruzioni e di quei materiali che hanno superato indenni tali avvenimenti. Il recupero, la conservazione, la tutela di questi edifici presuppone necessariamente la “storia” e la “conoscenza” sia delle tecnologie costruttive che dei materiali impiegati». Il Parco avrebbe potuto sviluppare il Geoturismo, facendo diventare la cittadina una piccola capitale delle “Vie della Pietra”, riportando in auge anche il mestiere degli scalpellini.
IL NUOVO PRG. Lo schema di massima del nuovo Piano Regolatore di Villafranca prevede la trasformazione dell’ex area industriale. Negli intenti, e il discorso riguarda anche le altre realtà produttive dismesse, si vuole ridefinire l’identità del territorio in senso turistico-commerciale.
In particolare dell’articolo di De Ioannon in qualità di autore del lavoro citato riporto una delle note da me scritte sul tema.
* Triscari M. – 2010 – Georisorse del costruito a Messina: una storia di 25 secoli e l’abdicazione ai calcestruzzi armati. In Accademia Nazionale delle Scienze, “La ricerca scientifica dopo il terremoto siculo-calabrese del 1908”. Scritti e documenti, XLIII, 164-191. T