MESSINA. Il peggio, probabilmente, deve ancora arrivare. E arriverà in autunno, quando inizierà la stagione dei temporali, delle “bombe d’acqua”. Che da qualche anno graziano la città, ma che tra un paio di mesi potrebbero presentare il conto. Molto salato.
Gli incendi di questi giorni hanno inferto una ferita devastante alle colline che sovrastano Messina, già instabili e a forte rischio idrogeologico. Un rischio che le fiamme hanno raddoppiato. Che tipo di incendi hanno colpito Messina negli ultimi tre giorni?
A bruciare sono stati soprattutto pini, sughereti e lecci, poi pascolo e “praterie substeppiche”: quindi aghi di conifere, foglie a lamina larga di latifoglie, graminacee, arbusti. Tutta vegetazione che ha la caratteristica di bruciare con rapidità perché dotata di un elevato rapporto superficie/volume, e quindi una grande superficie esposta all’aria od al fuoco. A parità di condizioni climatiche ciò comporta una maggiore velocità di disidratazione, e quindi maggiore velocità di combustione. Per questo, gli incendi che si sono sprigionati a Messina hanno avuto elevata velocità di propagazione ma bassa intensità, tanto che quelli più “accessibili” sono stati affrontati direttamente anche con attrezzature manuali dalle squadre.
Questo ha avuto risvolti anche nella tipologia di danno agli arbusti. Perchè se l’incendio è “di chioma” l’albero si può anche salvare, perché è capace di far ricrescere le foglie come quando è capitozzato. Se viceversa il fuoco viene da sotto è molto più disastroso, a causa di temperature più elevate e più “combustibile” perché bruciano tronchi e arbusti. Se la temperatura è stata talmente alta da liquefare terreno e radici, gli alberi sono spacciati. Dalle foto, in alcuni casi sembra che il danno non sia gravissimo. In altri, purtroppo, sembra irreparabile. Cosa succede nel secondo caso?
Succede che gli alberi si riproducono lentamente, e perché si riformi un bosco occorrono decenni: si formano prima piante piccole, erbacee, poi arbusti piccoli, quindi quelli più alti, poi la “macchia” e quindi il bosco , il “soprassuolo arboreo”. E nel frattempo?
La prima conseguenza è che senza vegetazione, i crinali elle colline sono naturalmente instabili, quindi più soggetti a frane superficiali. Di buono c’è che, da qui alla stagione delle piogge, anche gli alberi completamente carbonizzati manterranno le radici, anche se more, quindi un minimo di “sostegno” al terreno dovrebbero offrirlo, anche se per pochi mesi. C’è però una possibilità molto peggiore: e cioè che a causa delle elevatissime temperature raggiunte dal suolo bruciato, sia avvenuta la “vulcanizzazione” del terreno: la fusione, cioè, delle particelle di terra tra loro, fino a formare uno strato compatto e quasi vetroso, a causa del quale le acque non permeano il terreno e quindi scivolano a valle più veloci.
Fortunatamente, al momento non sono stati molti i bacini idrografici interessati dagli incendi. Sfortunatamente, lo sono stati sia l’Annunziata che il Marotta, sensibili al dissesto già dal 2007, ultimo anno di devastanti incendi in città.
E in teoria, dopo un incendio, per cinque anni sul terreno percorso dal fuoco sarebbe vietato il rimboschimento. In realtà la legge 353 del 2000 dà possibilità di chiedere deroghe al rimboschimento: in Sicilia la concede l’assessore competente, per imminente dissesto idrogeologico, o motivi paesaggisti o ambientali. Secondo l’assessore alla Protezione civile, il Comune di Messina si sta attivando per ottenere la deroga.
Il divieto di rimboschimento, in molti casi, non è infondato. Va valutata ogni singola situazione. Piantare alberelli in terreni completamente spogli potrebbe essere lavoro sprecato, perché se non c’è un minimo di copertura arbustiva il caldo estivo può far soccombere la maggior parte delle piante. Si dovrebbe intervenire sui terreni dove il fuoco è passato da qualche anno.
Sui terreni dove il fuoco è appena passato, se la vegetazione è stata completamente distrutta, bisognerebbe prima intervenire con piante arbustive di macchia. Comunque, purtroppo, in ogni caso l’effetto immediato di limitazione del rischio idrogeologico è assai scarso, perché anche qualora attecchissero tutti gli alberelli piantati, passerebbero anni prima che raggiungano dimensioni adeguate.