Tumpulata (o tumpuluni)
Abbiamo già scritto in passato dei tanti lessemi coniati nel tempo per parlare della prevaricazione fisica a Messina. Un’orda di parole fra le più svariate e funamboliche che raccontano meglio di qualsiasi trattato sociologico l’inclinazione cittadina alle angherie e ai soprusi, extrema ratio di ogni divergenza di vedute o singolar tenzone. Una soluzione last minute a cui ricorrere per sfinimento, quando le parole iniziano a farsi troppe o troppo poche, o ancora meglio all’inizio dell’alterco, proprio come approccio discorsivo: una specie di dichiarazione di intenti per mettere le cose in chiaro dal principio (o più probabilmente per sperare che l’avversario si intimorisca prima di arrivare al sodo, che non si sa mai).
Unità di misura di ogni sciarra che si rispetti è la tumpulata, sinonimo dialettale di ‘schiaffo’ che in riva allo Stretto è declinato in infinite varianti: c’è la lallera, la llapazza, la moffa, ma anche la scoccia di collo, la schicchera, la mennulla (da mandorla) e il devastante quartazzo di carne, da utilizzare come fatality finale.
Passando dal genere alla specie, ecco quindi le varie sottovarianti, che si differenziano per il grado di violenza, la parte anatomica colpita, la meccanica dell’attacco e, non ultime, le conseguenze fisiche ai danni del malcapitato. Elencarle tutte sarebbe un’impresa improba, per questo ci limitiamo a citare le tumpulate a ‘ntrasiri e nesciri, che rendono pleonastico il detto biblico “porgi l’altra guancia”, quelle a specchio, un po’ alla Bud Spencer, e quelle a ‘ntonacare, che richiamano visivamente il movimento della cazzuola sulla parete scrostata.
E se la parola è utilizzata anche nel resto della Sicilia e in qualche parte della Calabria, in riva allo Stretto vantiamo la primigenitura della temibilissima “entrata in bella”, una antica tecnica shaolin che rappresenta la perfetta sintesi fra la scuola di Nanto e quella di Hokuto: un furioso e improvviso attacco frontale con le braccia spalancate da agitare a mulinello per avvolgere l’avversario in un caleidoscopio di mazzate.
E a cu pigghiu pigghiu.
Minchia compare troppu togu!!!
Divertente e sagace come sempre.Rido come una scema mentre leggo, ogni volta.
Togo fa” parte dellO slang Italiano ,tutti si attribuiscono il merito dell invenzione della parola ma in realta” la parola a radici molto piu” profonde e antiche TOGO e” una citta”-nazione Africana che ha dato il suo bel da fare a tutti nonostante la sua piccolezza ecco del perche” TOGO.
Taione è “italiano correggiuto” infatti si chiama “ddaiuni” ovvero “digiuno” ovvero parte dell’ intestino tenue del vitello, di preciso il secondo tratto, caratterizzato dalla presenza di un liquido acre denominato chilo, che va a caratterizzare il suo particolare sapore che lo contraddistingue. La stessa parte che si usa per la pajata romana.
Finalmente una definizione corretta!!!! Bravo!