Ogni 2 giugno, mentre in Italia si festeggia la Repubblica, a Messina si dimentica un primato: quello di essere risultato il Comune più monarchico d’Italia al Referendum del 1946. A gridare “Viva il Re!”, nel segreto dell’urna, fu, in città, l’85,4 per cento degli elettori, un dato che permise al capoluogo peloritano di battere Palermo (84,2), di diventare capofila del Sud fedele a Casa Savoia e di essere il contraltare di Ravenna, la quale, forte del suo 91,2%, si consegnava alla storia come la città più repubblicana d’Italia.

Il primato fu lievemente abbassato dal dato totale della provincia che comunque, con il 77%, spingeva, insieme a Napoli, il mantenimento della Monarchia. Due dati, quelli messinesi, che, adesso, quasi stridono con i sentimenti filo-borbonici che animano il Sud e la stessa città dello Stretto, tanto fedele ai Savoia, ieri, quanto loro detrattrice oggi.

Ma quale fu il traino del Referendum? Forse, dando un’occhiata ai risultati delle elezioni all’Assemblea Costituente (votata lo stesso giorno) ci si può fare un’idea. In città, a conquistare il primo posto furono l’Unione democratica nazionale (32,92%) e la Democrazia cristiana (27,48%); e se è pur vero che l’orientamento monarchico fu trasversale, è altrettanto certo che queste due forze contribuirono notevolmente alla causa.

L’Unione Democratica Nazionale, di ispirazione liberale, era composta da Partito Liberale Italiano (Pli), Liberali conservatori, Partito Democratico del Lavoro (Pdl), Demo-Laburisti, Unione Nazionale per la Ricostruzione, Alleanza Democratica della Libertà. A livello nazionale, il risultato non fu esaltante, appena il 6,8%, ma a Messina fu eccezionale. Il dato assommava la tradizione liberale messinese e anche lo spirito monarchico. A dimostrarlo, gli eletti nella circoscrizione, in particolare Gaetano Martino (liberale poi divenuto Ministro degli Esteri) e Uberto Bonino, fondatore della “Gazzetta del Sud”. Il politico e imprenditore, debuttante come liberale alla Costituente, mostrò poi il suo sentire monarchico come deputato del Partito Nazionale Monarchico (cui aderì nel 1951), e Partito Monarchico Popolare, fino al 1963. Nel 1972, infine, tornò in Parlamento con il Movimento sociale italiano.

Per quanto riguarda la Dc, il cui Congresso nazionale aveva espresso un ordine del giorno favorevole alla Repubblica, lasciò libertà di voto al Referendum. Il messinese eletto fu Attilio Salvatore.

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