MESSINA. Il sindaco Renato Accorinti non lo vuole perchè “l’accoglienza che la città promuove da tempo è una accoglienza diffusa rivolta ai processi inclusivi che restituiscono a chi arriva nella nostra città dignità al proprio progetto migratorio e al principio di autodeterminazione“.
Il centrodestra, unito forse per la prima volta dal 2013 grazie al lavoro di “team building” di Pippo Trischitta, capogruppo di Forza Italia al Comune, non lo vuole perché, come era già stato spiegato nell’estate scorsa, colpirebbe mortalmente il turismo, quindi no ai ghetti e si invece alla riqualificazione del centro.
L’Amministrazione “mette in discussione il modello di “non-accoglienza” dell’hot spot, i cui fenomeni degenerativi sono sotto gli occhi di tutti: grandi numeri con inevitabili tempi di permanenza, privazione della libertà individuale, ulteriori traumi per persone che hanno già subito violenze e sofferenze fisiche e psicologiche”, e invece sposa la politica degli Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).
Dall’unità di intenti del centrodestra si è immediatamente sganciata Elvira Amata, di Fratelli d’Italia, che ringraziando Trischitta, annuncia che non parteciperà alla conferenza stampa di stamattina. Perchè? Vuole l’Hotspot? Ma manco per idea: tanto che della vicenda, spiega il portavoce provinciale del partito Giovanni Sottile, se ne interesserà a livello nazionale Giorgia Meloni, numero uno del partito che, spiega, “che ha già manifestato la sua piena disponibilità a farsi portavoce di una battaglia condivisa dalla maggioranza dei messinesi”.
Ovviamente, non lo vuole Cambiamo Messina dal basso, e nemmeno gli “ex amici” dell’amministrazione, tra partiti, movimenti e singoli, con in testa Antonio Mazzeo.
Se non lo vuole nessuno, perché se ne parla, di Hotspot? E soprattutto, cos’è? Da inizio marzo circola la voce dell’accelerazione delle procedure per allestirne uno in città. Da parte sua, Accorinti giura di non aver ricevuto alcuna comunicazione, né dal Ministero, né dalla locale Prefettura. Il 21 aprile 2016, il deputato di Forza Italia Maria Tindara Gullo aveva inoltrato interrogazione a risposta scritta al ministero dell’Interno, alla quale non è mai stata dato riscontro. Secondo il deputato, “si apprende dal sito istituzionale di invitalia.it, nella sezione stampa, che Messina ed Augusta ospiteranno due nuovi centri di accoglienza per migranti che saranno realizzati attraverso degli interventi inseriti nell’ambito della convenzione tra Invitalia e il Ministero dell’interno”. E in effetti Invitalia, a fine febbraio del 2016, ha bandito una gara per le attività di rilievo e progettazione esecutiva relative all’adeguamento strutturale e funzionale del sistema di immobili all’interno della «caserma Gasparro» a Messina.
Cosa è un hotspot, di fatto?
Si tratta di centri in cui i migranti immediatamente dopo lo sbarco vengono trattenuti per l’identificazione e la fotosegnalazione. In Sicilia esistono già gli hotspot di Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle e Lampedusa. Ogni centro può accogliere più di 1500 persone e viene gestito oltre che dalla polizia italiana anche da Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne: è il primo luogo in cui il migrante viene identificato, in modo tale che non possa circolare anonimamente sul territorio europeo e che la polizia possa eventualmente seguirne il percorso all’interno delle frontiere. L’incremento dei mega centri di identificazione è stato richiesto dall’Unione europea, decisione dettata anche dagli ultimi attentati. In Sicilia il ministero degli interni ha disposto l’apertura di due nuove centri a Mineo e a Messina. Sullo Stretto l’hotspot sarà all’ex caserma Bisconte che ha una capienza di 2800 persone.