“quando si scopre qualcosa, la verifica sui documenti è una tappa imprescindibile, se vuoi un minimo di credibilità”
Uno dei motivi per i quali ho accettato l’invito di Lettera Emme è stato perché credo nel progetto di questo quotidiano: una testata che fa del controllo sulle fonti una delle sue sfide. E, da persona abituata per mestiere a studiare il passato, non posso che sposarne con entusiasmo la causa. Nel mio lavoro questo tipo di controllo è essenziale: a volte è inebriante, a volte deludente. Ogni tanto fai scoperte favolose, altre volte invece non riesci a cavare un ragno dal buco, ma quando si scopre qualcosa, la verifica sui documenti è una tappa imprescindibile, se vuoi un minimo di credibilità.
La vicenda della presunta messinesità di Shakespeare mi sembra un ottimo esempio per parlare proprio di questo: una vecchia leggenda che non ha nessun fondamento storico (perché chi l’ha creata non ha fatto il suo dovere di storico), ma che è stata presa sul serio e che ancora oggi continua a riscuotere l’interesse di associazioni locali che organizzano eventi collegati a promuoverla. Addirittura nel 2011, con la delibera 61/C, il Consiglio Comunale di Messina ha conferito la cittadinanza onoraria all’ormai ex Bardo di Stratford-upon-Avon.
Alla base di questa ipotesi c’è un libro intitolato, senza esitazioni, Shakespeare era italiano, uscito nel 2002. L’autore è un insegnante di Ispica in pensione, Martino Iuvara, per il quale dietro il nome di William Shakespeare si nasconderebbe un certo Michelangelo Florio, nato a Messina nel 1564. Riassumendo all’osso le sue vicissitudini, Florio, già studente modello, avrebbe composto in gioventù una commedia in messinese intitolata Tantu trafficu ppi nenti (conosciuta poi dal mondo intero come Much Ado about Nothing, cioè Tanto rumore per nulla). Costretto alla fuga dalla Sicilia perché di fede calvinista, avrebbe girovagato per l’Italia, studiando a Padova e risiedendo per un certo periodo a Verona (dove una certa Giulietta, innamoratasi di lui, si sarebbe tolta la vita). Infine, Michelangelo sarebbe approdato in Inghilterra dove avrebbe composto i capolavori che tutti conosciamo, firmandosi con la versione anglicizzata del nome della madre, Guglielma Crollalanza e facendosi aiutare con la lingua inglese prima dal cugino e poi dalla moglie. È una storia molto bella e suggestiva – e infatti esiste un romanzo, intitolato Il manoscritto di Shakespeare basato su questa ipotesi – , ma come molte storie belle e suggestive è del tutto lontana dalla verità.
“La biografia di Shakespeare è, rispetto a quella di altri autori, molto lacunosa: da quel poco che si sa, suo padre era un guantaio di Stratford-upon-Avon, dove anche William fu battezzato nel 1564″
Cerchiamo di capire innanzitutto come si forma questa leggenda: per fare questo bisogna dare uno sguardo d’insieme a teorie simili a quella di Florio. La biografia di Shakespeare è, rispetto a quella di altri autori, molto lacunosa: da quel poco che si sa, suo padre era un guantaio di Stratford-upon-Avon, dove anche William fu battezzato nel 1564. La prosa dei pochi documenti da lui redatti (in particolare il testamento), inoltre, stride con lo stile elaborato delle sue opere letterarie e teatrali. Tutto ciò ha fatto sì che, a partire dall’Ottocento, si fondasse una corrente di studiosi chiamati “antistratfordiani”, restii cioè a credere che l’autore-Shakespeare e l’uomo-Shakespeare fossero la stessa persona. Come è possibile, infatti, – si chiedono i più scettici – che il semplice figlio di un guantaio arrivasse a raggiungere un livello culturale talmente raffinato? Di qui, dunque, le varie ipotesi: come è possibile che il figlio di un guantaio conoscesse così bene il cerimoniale di corte? Doveva essere un cortigiano! Padroneggia i termini della falconeria: doveva essere un falconiere! Di volta in volta dunque il nome del drammaturgo è stato sostituito con altri candidati: Francis Bacon, Christopher Marlowe, Elisabetta I, ecc. L’ipotesi di Iuvara si fonda proprio su questo presupposto: come è possibile, cioè, che un uomo inglese di una cittadina così periferica come Stratford avesse acquisito tutte quelle conoscenze di lingua e cultura italiana accessibili solo a chi provenisse dalla Penisola?
La proposta di Iuvara si sviluppa dunque nello stesso terreno in cui si fondano le altre ipotesi antistratfordiane, ma allo stesso tempo non è neanche tanto originale, perché rielabora altre teorie diffusesi in Italia nel secolo scorso. Quella più antica è del giornalista Santi Paladino. Siamo nel 1927, e a pagina 3 del quotidiano «L’Impero» del 4 febbraio esce un articolo intitolato Il grande tragico Shakespeare sarebbe italiano? La struttura argomentativa dell’articolo è sempre quella che ho appena descritto: il problema (tanti buchi nella biografia, discrepanza fra l’estrazione sociale di Shakespeare e la sua cultura) e la sua soluzione miracolosa: un libretto di proverbi pubblicato da Michelangelo Florio sei anni prima delle opere del drammaturgo in cui si trovano molte espressioni che sarebbero poi comparse nelle opere teatrali di quest’ultimo. Florio, «protestante valtellinese» sarebbe sfuggito alla persecuzione cattolica (pennellata anticlericale: i Patti Lateranensi non erano ancora stati firmati) per poi approdare a Londra dove avrebbe scritto i capolavori arrivati a noi col nome di Shakespeare. Non inganni l’interrogativo del titolo, Paladino aveva le idee chiarissime, e infatti concludeva l’articolo così: «Nulla di più facile quindi che il protestante valtellinese Michele Agnolo Florio e il Tragico Shakespeare siano una sola persona. E da questa ipotesi, critici d’arte e letteratura italiana, da questa ipotesi che chiamerei certezza se non temessi il vostro grido di sapienti ed omniscienti, voi non dovete allontanarvi. Da buoni italiani avete un compito ben grande da svolgere: avete il dovere di fare più pazienti ricerche e degli studi più profondi di quanto non ho potuto fare io, per stabilire definitivamente la vera nazionalità e l’omerica vita del più grande tragico del mondo».
“Paladino aveva fatto un po’ di confusione, scambiando Michelangelo Florio (toscano e non valtellinese) col figlio, il ben più noto John (1553-1625), autore del primo dizionario italiano-inglese (uscito nel 1598 col bellissimo titolo di A World of Words, un mondo di parole) e, appunto, di una raccolta di proverbi intitolata First Fruits (1578 e 1591 con il titolo di Second Fruits): i famigerati proverbi che ricorrono in Shakespeare”.
La tirade contro i professori (e poi oggi rimpiangiamo i bei tempi andati, quando c’era rispetto per la cultura…) serviva però da sprone affinché la nuove scoperte su Shakespeare venissero sfruttate per celebrare la virtù civilizzatrice del genio italico, senza disdegnare una bacchettata alla perfida Albione. Nella sua certezza incrollabile, però, Paladino aveva fatto un po’ di confusione, scambiando Michelangelo Florio (toscano e non valtellinese) col figlio, il ben più noto John (1553-1625), autore del primo dizionario italiano-inglese (uscito nel 1598 col bellissimo titolo di A World of Words, un mondo di parole) e, appunto, di una raccolta di proverbi intitolata First Fruits (1578 e 1591 con il titolo di Second Fruits): i famigerati proverbi che ricorrono in Shakespeare. Negli anni successivi, Paladino avrebbe ulteriormente modificato la sua versione dei fatti, sostenendo in un libro del 1955 (Un italiano autore delle opere shakespeariane) che John Florio avrebbe tradotto le commedie del padre Michelangelo. Alcuni hanno addirittura ipotizzato che John Florio e il Bardo fossero la stessa persona. A far sbarcare Shakespeare in Sicilia fu invece uno studio di Enrico Besta (1950), anche questo ripreso da Iuvara.
Ho letto con molto interesse. Dei Florio si sta parlando molto, sempre più. È corretto studiare e capire l’apporto alla lingua inglese da parte di John in paticolare e fare conosce al pubblico i due grandi eruditi.
Un cordiale saluto da Soglio, dove Michel Angolo e Jonh Florio abitarono e vissero un periodo sereno.
Patrik Giovanoli
Vede, caro compilatore, che pare aver letto solo di sfuggita le opere di Shake-speare e senza avere svolto una comparazione linguistica decente, il paragone Salgari-Shakespeare è quanto di più trito e superficiale si possa fare: perchè Salgari va all’arrembaggio di luoghi innomimati, così alla buona, per sentito dire e letto, mentre lo Shake-speare italiano cita “puntualmente” e “nominalmente”.
Spero che Lei sappia chi era Richard Paul Roe.
Mi si spieghi come, linguisticamente parlando, Shake-speare avrebbe mai potuto usare termini come “scorn” (scorns of life-Hamlet); “incarnadine” (Macbeth); “mure” (the mure that should confine it in…Henry IV); “fig” (fare le fiche – Henry IV);”Si fortune me , tormente, spero me contento” Henry IV); “sanctimony”- santimonia – Otello. A proposito, Lei sa cosa si intende per “santimonia”?…
E poi Le do il benservito: si rilegga il Tito Andronico e ci troverà Giordano Bruno. Non mi venga a dire che lo Shake-spere di Stratford ha pure conosciuto il pensiero di Bruno, perchè farebbe una figura di merda, sit venia verbo.
Sono in attesa di una replica “consistente”.
E poi, già che ci siamo, mi si spieghi “come”, alla fine cinquecento, possa qualcuno aver avuto accesso alle opere del Cinthio , quasi introvabili in Italia e tradotte in Inglese solo nel 1638-40, prima che queste avessero varcato le Alpi: dico degli “Hecatommiti” per non parlare del Decameron, che si sa chi l’abbia tradotto in inglese e n o n e r a s h a k e – s p e a r e, bensì JOHN FLORIO.
Shake-speare “messinese” è un “bullshit”. Vero. Ma che Michelagnolo Florio vi abbia dimorato è certo. E Michel Agnolo era un erudito, funambolo della “parola”; un Francescano passato alla Riforma che per ventisette mesi ,incapricciato e in odor di pira, sta mella Fossa a Tor di Nona: ventisette mesi di tortura = Hamlet: “ammazzarsi o non ammazzarsi”. “Essere o non essere”.
Ah, già, poi v’è da spiegare come un terrigno indotto di barcame sappia agevolmente usare termini marinareschi come “brings” fatte d'”oak” and iron; “mortise” e “veronese” e “ragusina” e come sappia “come il regno di Cipro entrò in contatto con i Veneziani” e cosa siano i “bond-slaves”, schiavi della Repubblica di Venezia che aveva ripudiato la schiavitù, ma che usava schiavi remiganti in Adriatic
Mi dica.
Last, but not least: i “drammi storici”. Come può un italicus ore, anglus pectore sapere tanta storia inglese? Lei sa chi era Samuel Daniel? Era uno storico che compilò i 4 “Libri delle suerre civili”. E, allora? Allora, era il cognato di John Florio.
E chi ha compilato il PRIMO dizionario “Italiano-Inglese” della storia? Due edizioni: “Worlds of Wordes”, 1598/1611? E chi ha tradotto Montaigne PER LA PRIMA VOLTA in Inglese? E chi ha tradotto PER LA PRIMA VOLTA il Decameron in quella lingua?
Si rilegga il “Riccardo III”, Atto III, sc II: lì c’è una “firma”, eufuistica, ovviamente. Un prete: John e un nome di regina “Margherita”. Cos’è una “margherita”? Prete John più “margherita”= ?
In più, subito dopo, c’è uno strano commento di uno “scrivano”, una delle scene in assoluto più corte di tutta la drammaturgia shake-spear-iana.