“Nonostante la persistente crisi in cui l’associazione si trova, affannandosi nell’intento di recuperare la salda leadership di un tempo”. Inizia con una preposizione avversativa la relazione semestrale della Dia, la direzione investigativa antimafia. Parla di Cosa Nostra, probabilmente la più grossa organizzazione criminale di sempre. Oggi in difficoltà, spiega la relazione, ma pur sempre capace di condizionare un territorio, il suo sviluppo, il suo futuro.
Come è strutturata, oggi, Cosa Nostra?
- Nel versante occidentale l’area palermitana rappresenta l’epicentro mafioso: un vero e proprio hub criminale, dal quale s’irradiano le principali attività illecite, riassumibili in acquisizione di denaro e potere e condizionamento del tessuto socio-imprenditoriale, in un vasto comprensorio interprovinciale. Però si nota un certo fermento: saltano i vecchi equilibri, si registra un acutizzarsi dell’insofferenza verso il potere esercitato dalla frangia corleonese, in passato garanzia di massima coesione verticistica e la cui autorità, sebbene spesso criticata, finora non era mai stata messa apertamente in discussione.
- Le cosche delle province di Agrigento e Trapani, in via generale, mantengono peculiarità omogenee rispetto a quelle del capoluogo di regione, anche se le consorterie trapanesi sembrano aver aumentato la propria influenza nel palermitano e, in genere, nella complessiva governance dell’organizzazione criminale. Infatti, nella provincia di Trapani, cosa nostra presenta connotazioni di maggiore coesione e impermeabilità e, più che altrove, sembra conservare un modello organizzativo compatto, retto dalla leadership del superlatitante Matteo Messina Denaro, nonché una forte capacità di condizionamento ambientale.
- Nel sistema criminale che contraddistingue il versante orientale dell’Isola, il tratto caratteristico rimane la coesistenza di più componenti, variamente strutturate, sovente attraversate da fibrillazioni interne, che fino al recente passato non si erano manifestate con atti violenti. Gli omicidi di aprile scorso, non sembrano aver compromesso lo status di strategica non belligeranza tra i diversi clan, funzionale a quella silente strategia dell’inabissamento
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Però anche Cosa nostra si trasforma
Non spara più. Non come prima, almeno. Non lascia cadaveri per strada. Oggi “fa affari”. Si è specializzata nel controllo e nella fornitura di beni adottando una “strategia di mercato” selettiva, tendenzialmente mirata a soddisfare le puntuali esigenze del mercato criminale. Come? “Condizionando gli apparati politico-amministrativi locali, disponendo di consistenti capitali “a basso costo”, e così alterando inevitabilmente il sistema economico-finanziario”, si legge nella relazione della Dia.
Sono i numeri ad essere impressionanti: duecento milioni di euro tra sequestri e confische, nei soli primi sei mesi del 2016, rappresentano una cifra che è esattamente metà del bilancio di una città da 241mila abitanti come Messina. Un paragone che fornisce un’unità di grandezza da far venire i brividi, se si pensa che rappresenta solo una parte degli enormi affari dei clan.
I settori maggiormente interessati sono risultati quelli legati all’edilizia, ai trasporti e all’agroalimentare. In molti casi, le indagini hanno evidenziato anche l’attivismo di una vasta area grigia – composta da taluni imprenditori, professionisti, esponenti della politica o pubblici funzionari – che concorre, con diversi gradi d’intenzionalità specifica, al successo delle strategie mafiose. Fortemente esposto agli interessi della criminalità organizzata è anche il settore delle scommesse clandestine, spesso praticate utilizzando reti informatiche e società estere. Una primaria fonte di guadagno è rappresentata dal traffico di stupefacenti10, nel cui ambito appare consolidata la collaborazione per l’approvvigionamento con la camorra e le cosche calabresi, mentre usura ed estorsioni sono le attività (non più redditizie ma “qualificanti”) con cui tradizionalmente la mafia controlla il territorio ed impone il suo marchio.
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(Tutti i dati provengono dalla relazione semestrale della Dia al Parlamento, e si riferiscono ai primi sei mesi del 2016)